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Editoriale numero 3

Riportiamo di seguito, a mo’ di presentazione, uno stralcio dell’editoriale del terzo numero della rivista anarchica messicana Negación.

L’espressione «ai ferri corti con…» si usa per indicare un punto di non ritorno, di rottura imminente e violenta con qualcosa o qualcuno. Con Ferri corti ci si riferisce alle armi bianche, siano esse le daghe o i pugnali che segnano l’ultima tappa del tipico duello dei secoli passati. Il combattimento armi in pugno si svolgeva in un corpo a corpo, faccia a faccia. Per rompere con questa realtà, in un duello mortale con l’esistente, i suoi difensori e i suoi falsi critici. Ai ferri corti con la vita.

In seguito alla pubblicazione di diversi scritti sul web riguardanti l’attuale dibattito quasi abortito – come specifica bene uno di questi testi – a proposito dell’anonimato, le rivendicazioni, le sigle e l’attacco, scritti che non sono stati tradotti o diffusi largamente, abbiamo preso l’iniziativa di tradurne alcuni. A dirla tutta, abbiamo voluto tradurre i tre testi più “polemici” – polemici secondo alcuni compagni, ovviamente – ma soffermandoci sul terzo che si intitola «Appendice a un dibattito abortito sull’anonimato e l’attacco» – notiamo che contiene una sintesi dei due testi precedenti, e che in più – secondo noi, ovviamente – si esprime con meno arroganza rispetto al primo, cosa che può facilitare un’apertura verso un vero dibattito tra compagni e compagne anarchici sui temi sopra evocati. Abbiamo quindi scelto di concentrarci sulla traduzione di quest’ultimo scritto.

Condividiamo di più il testo in questione, perché afferma il rifiuto da parte di non pochi compagni di discutere con chiarezza ed umiltà su questi punti; mentre d’altro canto la facile evasione da questo dibattito è sempre stata la risposta da parte di alcuni, in pratica da parte dei più noti.

Nel nostro ultimo editoriale facevamo riferimento al fatto che sputiamo sul genere di argomentazione ad hominem, una scappatoia presentata come argomento al fine di eludere e nel contempo attaccare squalificandoli gli argomenti sostenuti. Un argomento ad hominem in tal senso viene utilizzato da certi compagni e compagne nel respingere l’invito al dibattito «argomentando» che tutte queste critiche e riflessioni a proposito di sigle, cellule, lottarmatismo, rivendicazioni, ecc. «provengono da quelli che predicano l’anonimato politico senza far nulla» o «e che sono formulate seduti comodamente dietro un computer». Quest’ultima premessa fa sorgere parecchi dubbi in noi, alcuni più semplici e altri più complessi; per esempio non riusciamo a comprendere come facciano questi compagni ad affermare con tanta certezza che quelli che predicano l’anonimato non fanno niente. Bisogna forse ricorrere alla politica come arte della rappresentanza per far rimarcare che si sta facendo qualcosa? Bisogna affidarsi alla visibilità spettacolare per dimostrare che si è fatto qualcosa? Bisogna dimostrare qualcosa attraverso la visibilità di certe azioni affinché perfino una critica da parte dei compagni acrati sia considerata valida? Dimostrare a chi? O forse i soli che fanno qualcosa e la cui parola ha quindi credibilità sono quelli che si rendono visibili attraverso sigle, comunicati e dichiarazioni di principio? Che cosa sarebbe questo fare contrapposto a quel non fare? Il genere di organizzazione che costoro propongono, per di più in modo acritico, non è per caso una ridondanza della vecchia forma organizzativa di sintesi, pesante e avanguardista, che tanti anarchici hanno criticato nel corso degli anni – e che noi stessi abbiamo criticato? Tutto ciò – permetteteci – puzza di monopolio, di omogeneità, di caudillismo ed è l’opposto di una pratica informale. Un altro di questi dubbi emerge sulla base della «rappresentanza come sinonimo di visibilità». Posto che con tutta questa pratica contro l’informalità, la Tendenza Informale Anarchica come è stata formulata da alcuni compagni e compagne ha fatto ricorso in mille ed una occasioni alla politica come arte della rappresentanza, «Se la rappresentanza è ciò che toglie agli individui la capacità di agire, fornendo loro come contropartita l’illusione di essere partecipanti e non spettatori, questa dimensione del politico riappare sempre là dove una qualsiasi organizzazione soppianta i singoli e un qualsiasi programma li mantiene nella passività. Riappare sempre là dove un’ideologia unisce ciò che nella vita è separato». Questa non è proprio un’altra maniera di fare politica?

[…] Un dibattito di questo tipo non nasce – o almeno, così dovrebbe essere secondo noi – da una questione di genere, né da una questione personale, un dibattito come quello in corso nasce dalla necessità di discutere di idee, posizioni, prospettive, teorie, per un arricchimento individuale e uno sviluppo della lotta stessa.

Fonte: http://www.finimondo.org/